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“Babbaluci a sucari e fimmini a vasari nun ponnu mai saziari”

(“Lumache da mangiare e donne da baciare non saziano mai”)


Questo vecchio proverbio sambucese racchiude una grande fetta di tradizione legata alle lumache, in dialetto “Babbaluci”, dall’arabo “babush”.

La Lumaca o Babbalucia è un simbolo, seppur vetusto, dell’identità culturale del popolo di Sambuca.

Si narra che questa tradizione risalga addirittura agli antichi Sicani, dei quali si dice fossero ghiotti di lumache.

L’abbondanza di lumache nelle campagne sambucesi saldò nei secoli al popolo di Zabut la nomina di “babbaluciari”, la quale oggi assume -in senso lato- anche altre connotazioni.

Tra queste, la babbalucia è l’elogio alla lentezza, al cambiamento lento dei piccoli borghi, alla vita lenta, che si contrappone alla frenesia delle città.

Anticamente, la raccolta dei “crastuna”, lumache grosse e dal guscio scuro, avveniva in autunno e in inverno alle prime luci dell’alba, dopo un’abbondante pioggia. In estate, invece, si raccoglievano quelle piccole e con il guscio bianco che, a grappoli, si trovavano attaccate sugli steli rinsecchiti di molte piante erbacee o in cardi spinosi, arsi dal sole, che tra luglio e agosto trasforma le verdeggianti campagne siciliane in dorati deserti.

Dalla campagna alla tavola, le babbaluce sono un piatto tipico e povero della tradizione sambucese, nonché il simbolo -dopo l’arpa- che più rappresenta il Borgo.

Babbalucia

Babbalucia

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