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Un cantiere in evoluzione

Nel 1633 il marchese Ignazio Bardi-Spatafora-Centelles si farà promotore di un’ampia campagna di lavori per ampliare la chiesa: al corpo primitivo dell’edificio, la navata centrale, saranno aggiunte le due navate laterali minori; e la Chiesa, nota anche come Chiesa del Carmine per la presenza dei religiosi carmelitani, verrà dedicata alla Madonna Annunziata. Ancora, nel ‘900, l’attività edificatoria della chiesa non avrà sosta: intorno al 1915, l’intervento più importante sarà il rifacimento della facciata, che sostituirà quella originaria con triportico inferiore, nel frattempo demolita. Opera monumentale dell'artigianato locale realizzata sotto la guida di scalpellini e scultori palermitani tra cui Salvatore Affronti, fu completata nel 1928 su progetto dell’architetto Bilà. Questi ne accentuò il carattere scenografico - dato già dalla sua posizione sopraelevata rispetto al centro della città - con un’ingegnosa organizzazione prospettica, degna del Santuario che la chiesa, alcuni decenni dopo, sarebbe diventata. Elegante e maestosa, è abbellita da quattro coppie di colonne con capitelli, due nella parte inferiore e due in quella superiore. Il monumentale portale d’ingresso ligneo riporta incisioni e decori, che si estendono in tutto il corpo dell’edificio, su due ordini. Nel 2024, grazie al progetto “Sambuca Welcoming”, finanziato del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, sono stati realizzati i lavori di riqualificazione del sagrato del Santuario: questo è stato ripavimentato con un materiale ricostituito antiscivolo in monostrato vulcanico. La pavimentazione, a grandi quadroni definiti con fasce chiare con, all’interno, mattoni a contrasto, riporta, al centro del sagrato la “A” e la “M”, lettere del monogramma mariano: si tratta delle iniziali di “Auspice Maria” (letteralmente dal latino, "sotto la protezione di Maria"). Le due lettere stilizzate sono circoscritte, come nella tradizione iconografica mariana, da 12 stelle: l’apostolo Giovanni, nel Libro biblico dell’Apocalisse, descrive infatti la Beata Vergine Maria come una “donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle”.

La Chiesa del Carmine, Santuario di Maria SS. dell’Udienza

Ci troviamo presso il principale luogo di culto di Sambuca, cuore pulsante della comunità attorno al quale si sviluppa il borgo. In questo luogo, anticamente, sorgeva una piccola chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate, costruita nel 1530 dal Marchese della Sambuca, Don Salvatore Bardi Mastrantonio. Fu ampliata nel 1615 quando le fu annesso il nuovo Convento dei Carmelitani. Fondato da Don Vincenzo Bardi Mastrantonio adiacente alla chiesa, se ne conservano ancora il chiostro - su cui si affacciavano le celle dei frati - e parte della fabbrica, oggi adibita ad Aula Consiliare e Biblioteca Comunale.

I tesori della Chiesa del Carmine

All’interno la chiesa è suddivisa in 3 navate e 5 campate, separate da arcate a tutto sesto e da pilastri scenografici, sormontati da arcate a tutto sesto. Sotto i tondi affrescati della navata principale, la Chiesa del Carmine custodisce opere provenienti dall'ex Convento di S. Maria di Gesù (XVII sec.): la statua marmorea di S. Anna con la Madonna fanciulla, di scuola gaginiana (da attribuire a Nunzio La Matina, scultore vissuto nei primi del ‘600), ed un Crocefisso ligneo. Conserva anche monumenti funebri eretti in onore di patrizi sambucesi e uomini e famiglie illustri della cittadina, come gli Oddo, i Planeta e i Navarro (il cui mausoleo spicca per i pregevoli tondi e mezzibusti in marmo bianco assoluto). L'interno della chiesa venne rinnovato agli inizi del ‘900 e arricchito di pregevoli lampadari in vetro di Murano. Nel 1949 la Chiesa fu elevata a Santuario Mariano e al 1981 risale il restauro dell'abside, eseguito dal pittore Tommaso Montana e dal giovane Enzo Maniscalco. Nei sottotetti si conservano pregevoli affreschi riconducibili al tardo ‘500, al momento non fruibili.

La statua marmorea di Maria SS. dell’Udienza

Il tesoro indiscusso della Chiesa del Carmine è senza dubbio la statua marmorea della Madonna dell'Udienza, attribuita ad Antonello Gagini, risalente ai primi anni del Cinquecento, posta sull’altare maggiore, ed il suo monumentale fercolo ligneo del 1817 dalla doratura di fine fattura classica, restaurato nell’82 da Tommaso Montana ed Enzo Maniscalco, che riproduce un trono regale; al suo culmine, una corona sorretta da colonnine scanalate sormontate da capitelli. E’ su questo fercolo che, ogni anno, la terza domenica di maggio, 100 uomini, detti «I nudi», portano in processione sulle spalle la statua della Madonna dell'Udienza, venerata come Patrona e Protettrice di Sambuca per avere miracolosamente liberato il borgo dalla peste nel ‘500. La Madonna dell’Udienza o “dell’Adienza” o “dell’Adensia” di Sambuca - da cui vengono i nomi sambucesi di Audenzio e Audenzia - è rappresentata in un atteggiamento di estrema benevolenza e disponibilità all’ascolto del fedele ed ha una particolare rilevanza artistica per la plasticità.

Il ritrovamento della statua e la trasformazione della chiesa in Santuario

La statua marmorea di Maria SS. dell’Udienza, cui la popolazione sambucese è molto devota, fu ritrovata nel 1575 da un contadino sambucese in un’intercapedine della Torre di Cellaro. Si dice che la statua, originariamente appartenente a dei privati, fosse stata ancor prima nascosta fra gli anfratti della montagna tra Sambuca e Sciacca, per questo detta “Cava della Madonna”. Dalla Torre del Cellaro la statua fu condotta in paese, su un carro tirato da due buoi, attraverso la via Infermeria, dove venivano curate un gran numero di appestati. Al passaggio del simulacro della Madonna, la peste miracolosamente scomparve. Si dice anche che, giunti alla via Pietro Caruso, proprio in corrispondenza dell’ingresso della Chiesa del Carmine in cui ci troviamo (allora ancora intitolata a Sant’Antonio Abate), i buoi si fermarono. Si interpretò dunque che fosse volontà divina che la statua Madonna fosse custodita qui. Dalla miracolosa guarigione dalla peste, la chiesa di Sant’Antonio divenne il Santuario di Maria Santissima dell’Udienza - ufficializzato nel 1949 - e fu deciso che ogni anno il simulacro sarebbe stato portato in processione per le vie del paese e che ogni dieci anni la processione sarebbe passata per la via Infermeria.

Le due anime della Festa della Madonna dell’Udienza, la più sentita di Sambuca

La Festa della Madonna dell’Udienza è una tradizione plurisecolare che dal 1575 si celebra ogni anno per otto giorni (l’ottava), culminando nella terza domenica di maggio - mese tradizionalmente dedicato alla Madonna - e si compone di una festa profana e una festa religiosa. La festa religiosa si svolge nell’arco di un’intera settimana: gli otto giorni che precedono la terza domenica (la cosiddetta “ottava”) si animano di celebrazioni dentro e fuori il santuario. All’interno si svolgono le Sante Messe, precedute e seguite dal tipico Rosario recitato e cantato nell’antico siciliano del tempo in cui fu composto. Sul sagrato della chiesa, invece, la banda musicale intona gli inni che si dedicano alla Madonna, finché il parroco, uscito dal santuario e seguito da tutti i fedeli, dà inizio al serale “viaggio”: il giro delle vie cittadine dove si svolgerà la processione, che avviene ordinatamente e con la recita del Santo Rosario fino al rientro al santuario, dopo circa un’ora. Nei giorni dell’Ottava il percorso vario della processione è sempre frequentato da persone che manifestano la loro devozione anche a piedi nudi e con un cero acceso. L’Ottava culmina con i giochi d’artificio della mezzanotte del sabato, mentre, all’alba della domenica, i botti dell’alborata in onore della Madonna segnano il risveglio di un paese in grande fermento: i “Nudi” - così sono chiamati i confratelli della “Confraternita di Maria SS. dell’Udienza”, che un tempo, a piedi nudi, si caricavano sulle spalle la vara della Madonna - si recano in chiesa per assolvere al loro specifico compito: portare ancora oggi in processione la statua della Madonna dell’Udienza. I “Nudi” sono centinaia. Sono loro i responsabili della “Scinnùta” - cioè la discesa della statua dall’altare maggiore - e della collocazione sulla “vara” (il fercolo), che avviene fin dal primo pomeriggio. E sempre loro si occuperanno della “Nisciùta”, cioè l’uscita del simulacro dalla chiesa, che si svolge con grande commozione dei fedeli tra inni, preghiere e grida di gioia e di gloria. La processione ha inizio subito dopo la celebrazione della santa messa solenne all’aperto e il sermone di un padre predicatore. I “Nudi” porteranno il simulacro per le vie della città tutta la notte mentre la banda al seguito non dovrà smettere di suonare. Si fermeranno solo sotto le dodici “Corone”, che rappresentano i quartieri sambucesi che faranno onore alla Madonna con i fuochi d’artificio. Sosteranno solo per riposarsi, prendere un boccone, bere un bicchiere d’acqua o altre bevande per poi riprendere la faticosa strada che all’alba del lunedì li vedrà davanti il Santuario. E’ qui che a questo punto verrà messa in scena la “Trasùta” (l’entrata): una sorta di sfida tra i Nudi che vogliono far rientrare il simulacro in chiesa e quelli che lo vorrebbero ancora fuori “sotto la propria responsabilità”. Dopo un ripetuto salire e scendere dal sagrato della chiesa con momenti di vera paura per le spinte impetuose che fanno barcollare il simulacro, la Madonna finalmente “trasi” (entra) e apparirà sul sagrato verso le 11.00 per l’ultimo saluto ai fedeli che sono rimasti ad aspettarla. La festa profana, invece, è animata da una serie di manifestazioni come la sfilata di diversi gruppi bandistici. Questi, nel passato, non solo avevano il compito per tutta l’ottava di suonare sul sagrato della chiesa durante le funzioni serali e di tenere in allegria i diversi quartieri del paese, ma anche di dare vita alla cosiddetta “musica al palco”: una sorta di rassegna di musica lirica, in cui i gruppi musicali si esibivano sul palco ben adornato a fianco della chiesa, ormai scomparso. Negli ultimi tre giorni di festa, nei lunghi pomeriggi, il corso Umberto I si animava delle corse dei cavalli: il “Palio dell’Udienza” era un evento ritenuto di rilevante importanza in tutti i centri della Sicilia e richiamava molti appassionati non solo dai paesi vicini, ma anche da lontane città: il cavallo vincitore era ritenuto ovunque un vero campione. Per Sambuca la festa dell’Udienza diventava, quindi, anche un momento di giro d’affari per tutte le attività commerciali. Si spendeva per lauti pranzi, si attivavano tutte le sarte e sartine del paese per fare allestire ricchi e colorati abbigliamenti che per la festa si mettevano in mostra; non mancavano sfilate di gruppi folk, mostre di ogni genere e sagre come quella delle “Minni di Virgini” (seni di vergine), delizioso dolce della tradizione sambucese in pasta frolla, crema di latte, zuccata, cioccolato, essenza di garofano e di cannella: ideato nel 1725 da suor Virginia Casale di Rocca Menna per le nozze del figlio della marchesa di Sambuca - il Marchese Pietro Beccadelli - con Marianna Gravina, si dice le sia stato ispirato dalla delicata sinuosità delle colline sambucesi. Sul Corso Umberto centinaia di bancarelle, ricche di ogni mercanzia: giocattoli, sedie, cubbàita, càlia e simènza, noccioline, zucchero filato e ogni tipo di gioielli di pietra colorata e specchi. A dare luce e colore alla festa, in un contesto reso fantastico e magico specialmente la sera, la bellissima e originale “illuminazione alla veneziana” lungo tutto il corso e sul prospetto del Santuario.

L’illuminazione alla veneziana per la Festa

L’illuminazione della festa della Madonna è stata concepita da Domenico Ferraro, un artista stuccatore vissuto a Sambuca nella seconda metà del 1800. Egli ebbe modo di conoscere le vetrerie di Murano, ed in particolare le “bocce” colorate usate per illuminare, già quando ancora non esisteva la corrente elettrica. Valente disegnatore, progettò le grandi arcate che costituiscono la galleria illuminata lungo il corso Umberto I e gli “alberelli” e i “candelabri” posti ad intercalare fra le arcate. Quando nei primi del ‘900 si trasferì in America, continuò anche da lì a lavorare per realizzare la “Luminaria” della festa, sensibilizzando i Sambucesi d’America che si attivarono nella raccolta fondi. Intorno al 1930 disegnò il Portale d’ingresso alla luminaria e due Palchi per la musica, affidandone la realizzazione a Francesco Milillo, valente artigiano del legno. L’opera viene completata nel 1932 con la realizzazione del Padiglione: una struttura posta fra le arcate all’altezza della chiesa di Santa Caterina dove la “Vara” staziona prima dell’inizio della Processione. A distanza di 120 anni dalla prima realizzazione, un gruppo di volontari guidati dall’architetto Giuseppe Cacioppo hanno provveduto a ripristinare il progetto originale per la gioia della comunità sambucese.

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