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Un’architettura, capolavoro di stili compositi

La nuova costruzione del ‘600 è quella che possiamo ammirare oggi, anche se gravemente danneggiata dal terremoto del 1968. Realizzata da maestranze locali sotto la guida di ingegneri palermitani, la chiesa mostra una grande ricchezza di stili compositi. Ha una bellissima facciata con alti basamenti in tufo e un antico portale d’ingresso legato a schemi trecenteschi, tipici dello stile cosiddetto chiaramontano - da alcuni definito “in rozzo stile arabo-normanno - possibilmente appartenente alla cappella interna del castello; secondo alcune fonti, proverrebbe da una delle chiese della distrutta Adragnus, borgo rurale elevato a Casale di Adragna durante il periodo paleocristiano. Sulla fiancata destra, che si affaccia sulla Piazza Baldi Centellis, si ammira tutto l'ornato del portale Sud, ispirato a motivi rinascimentali commisti a delicati influssi barocchi. Il campanile, ricavato da una delle torri a difesa del castello saraceno, è un raro gioiello dell'architettura d'epoca della Sicilia occidentale: sorretto da enormi ma armoniose foglie d'acanto scolpite nel tufo, culmina con una guglia piramidale coperta da quadrelli di ceramica policroma. Più antico, invece, è il portale sul prospetto principale.

La Chiesa Madre

Ci troviamo presso la Chiesa Madre, uno dei monumenti più importanti di Sambuca di Sicilia, nella parte più antica e più alta dell'abitato.

Da chiesetta annessa al castello arabo a Chiesa Madre

Qui, su una parte dell'antico Castello arabo di Zabut, sulla rocca che domina il paese, intorno al 1420 fu edificata una piccola chiesa, in origine dedicata a Santa Barbara, annessa al castello. Ampliatasi sull'area della fortezza, inglobandone l’antica torre difensiva saracena - divenuta, poi, base dell’attuale campanile - fu dedicata a San Pietro Apostolo. E’ allo stesso periodo che pare risalire la scala a chiocciola in tufo arenario a blocchi concentrici, mentre i considerevoli lavori di muratura, di cui l'impianto mantiene le tracce, risalgono alla metà del 1600. La chiesa, infatti, fu ricostruita ed ampliata ulteriormente nel 1642, grazie al contributo finanziario della marchesa Donna Giulia Baldi Centellis e della sorella Maria, che commissionarono al maestro Giacomo Busacca, attivo in altre fabbriche della zona, i lavori di rifinitura della nuova Chiesa Madre e il portale scolpito volto a mezzogiorno, che prospetta sulla piazza laterale. Completata la costruzione, il 12 febbraio 1651 la chiesa fu solennemente aperta al culto e dichiarata “parrocchiale sotto il titolo di Maria SS. Assunta”. Alla funzione religiosa partecipò la marchesa, Donna Giulia della Sambuca, accompagnata dal marito, Don Giulio Pignatelli, dalla sorella, Donna Maria Baldi Centellis, e da tutto il popolo sambucese. Nel 1790, essendo arciprete Don Gaetano Farace e sindaco il Magnifico Don Gioacchino Viviani, furono fatte importanti opere ornamentali alla navata centrale, alla cappella e alla cupola. Come scrive nell'Arpetta il dr. Vincenzo Navarro nel 1836, grazie alle cure zelanti dell'allora arciprete Vito Planeta - divenuto poi abate della chiesa di Santa Maria del Soccorso - fu ricostruita la gradinata della porta di ponente e la chiesa fu arricchita di interessanti opere d'arte e di gradevoli stucchi.

Il rigore degli interni antichi, il colore dei decori ottocenteschi

Alla chiesa si accede da una suggestiva scalinata. Entrando dal portale principale, si scopre l’interno, rinnovato e ridecorato nel 1800: la pianta è a croce romana, a tre navate, divise da colonne, che sorreggono archi a tutto sesto. I muri, le colonne, le volte reali e i basamenti ciclopici di pietra tufacea dura conferiscono al tempio un rigore e un’armonia claustrale che conquistano il visitatore. Una cupola di ispirazione rinascimentale si innalza all’incrocio fra il transetto e la navata centrale. Diversi dipinti, attribuiti a Bentivegna, fuoriescono ancora sotto l'intonaco a testimoniarne l'antichità, così come quelli restaurati e rappresentanti San Pietro, a cui il luogo di culto è stato intitolato. Ma a dare colore alla chiesa furono gli stucchi dei primi anni dell'Ottocento, su progetto dell'architetto Salvatore Gravanti della vicina Sciacca. Furono chiuse le lunette sopra le finestre per creare le aperture più basse, mentre il soffitto dell'abside venne nuovamente ricreato con le pitture di Ignazio De Miceli.

Uno scrigno di opere d’arte

La chiesa è uno scrigno di opere d’arte: il trittico ligneo della Crocifissione con i Santi Giovanni Evangelista e Maria di Màgdala sullo sfondo di una grande pala lignea che raffigura in bassorilievo l'«Albero dei Martiri» con reliquiari al posto dei frutti (opera di scuola trapanese del ’700); una tela raffigurante i Tre Santi incoronati della Scuola del Novelli. Ed ancora: un affresco staccato dalla parete di una cappella della Chiesa di S. Giorgio, attribuito al sambucese Turano; un'acquasantiera di scuola gaginiana; la grande pala dell'altare maggiore raffigurante l'Assunzione di ispirazione tintorettiana (per alcuni, una copia dell’Assunzione di Tiziano) e, a destra del presbiterio, un affresco del sambucese Gianbecchina del 1956. Prima del terremoto del ‘68, la chiesa custodiva, a ornamento degli altari, altre tele delle scuole siciliane del '600 e '700 - raffiguranti Gesù che consegna le chiavi del Paradiso a San Pietro; la Madonna del Latte fra i Santi Benedetto e Domenico; l’estasi di San Giovanni Evangelista, i Dottori della Chiesa di Fra’ Felice da Sambuca - e una Crocifissione, gruppo ligneo di Fra Benedetto da Trapani proveniente dal Convento dei Padri Cappuccini: opere, oggi, conservate nella Chiesa di San Michele. Gli affreschi sulla volta, con scene mariane, sono di Lorenzo Di Miceli del 1844. La chiesa conserva due mausolei della famiglia Planeta ed uno di Suor Vincenza Maria Amorelli, morta in fama di santità nel 1824. Interessante il campanile a punta piramidale e formelle maiolicate.

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Le ferite del terribile sisma del ‘68

La Madrice - così i Sambucesi sono soliti chiamare quello che è il più antico luogo di culto della loro cittadina - fu gravemente danneggiata dal sisma del 15 gennaio 1968 che devastò la Valle del Belìce. Per molti anni fu simbolo di una ricostruzione incompiuta che caratterizzò tristemente tutta la valle ferita dal sisma. Anche il maestoso organo a canne, indorato dai fratelli Antonio e Domenico Ferraro nel 1882, andò perduto, insieme a opere a muro, statue, bronzi: ne sarà acquistato uno nuovo solo nel 2020, dopo più di 50 anni, grazie alla raccolta fondi della comunità. Gli interventi di consolidamento delle strutture e di rifacimento della copertura, eseguiti in varie fasi, ebbero lunghissima durata, fino alla riapertura nel 2019 con una messa solenne concelebrata dall'arcivescovo di Agrigento, cardinale Francesco Montenegro: alla cerimonia di inaugurazione, che concluderà le manifestazioni organizzate per il 51° anniversario del sisma, parteciperanno tutti i sindaci dei Comuni del Belìce. Grazie a uno stralcio funzionale degli ultimi fondi previsti per il Belìce si provvide al rifacimento del pavimento, al recupero dell'altare maggiore dove fu collocato un grande blocco in pietra, e ad alcuni interventi di consolidamento del tetto.

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