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Dall’amore del Maestro Gianbecchina per Sambuca, la nascita di una pinacoteca unica

L’Istituzione Gianbecchina nasce a Sambuca nel 1997, intitolata al grande pittore sambucese Giovanni Becchina, detto Gianbecchina, scomparso nel 2001 all’età di 92 anni. L’artista - uno dei più grandi esponenti del ‘900 Italiano - pur avendo esposto nelle più grandi città del mondo, volle che il suo patrimonio artistico si conservasse a Sambuca e il 2 agosto 1997, giorno del suo ottantesimo compleanno, donò alla sua città natale un ingente patrimonio artistico di 192 opere realizzate tra il 1924 e il 1996. Queste illustrano il cammino dell'artista e il leitmotiv delle sue opere: la Sicilia, con le sue tinte cromatiche, palcoscenico della vita e dell’opera dell’uomo. Fino al 2023 solo 45 delle 192 opere donate furono esposte all’interno dell’ex Chiesa di San Calogero. A causa degli spazi ristretti del luogo, le restanti 150 furono custodite dall’Archivio Gianbecchina fino alla realizzazione, presso l’ex Monastero di Santa Caterina, della nuova pinacoteca dedicata al Maestro.

La Pinacoteca Gianbecchina nell’Ex Monastero di Santa Caterina

Ci troviamo presso la Pinacoteca Gianbecchina di Sambuca di Sicilia, ospitata nell’ala superstite dell’Ex Monastero Benedettino di S. Caterina. La struttura originaria dell’intero complesso, fondato nel 1515 dal nobile Giovan Domenico Giacone d’Irlanda, si articolava lungo il Corso Umberto dall’attuale Palazzo della Banca Sicana fino alla via Roma, includendo l’attuale Piazza della Vittoria (oggi a fianco della chiesa). Comprendeva il monastero (nell’ala sinistra), la chiesa (nella sua parte centrale) e, a destra, il chiostro, confinante con la via del Mercato (oggi via Roma) e, nella parte posteriore, con la Via Telegrafo. Nel 1927 la parte del fabbricato monastico a destra della chiesa fu interamente demolita e, nel 1929, vi fu realizzata la Piazza della Vittoria col Monumento ai Caduti nella Grande Guerra. L’ala superstite del Monastero, adibita prima ad uffici comunali e a casa canonica, nel 2023 diventò sede della Pinacoteca “Istituzione Gianbecchina”.

I primissimi anni

Uno spazio contemporaneo per raccontare pittura e storia di un Maestro del Novecento

La nuova galleria d’arte ospita le 192 opere donate dal Maestro a Sambuca nelle sue 11 sale, distribuite su tre elevazioni: lo spazio, moderno, include una sala multimediale, arricchita dalle note musicali di Floriana Franchina, e mira a far conoscere la storia artistica e umana di uno dei pittori del Novecento che meglio ha raccontato la bellezza della sua terra. Il percorso espositivo, scandito da un rigoroso ordine cronologico, restituisce tutta l’interezza creativa di Gianbecchina: dai primi lavori giovanili - quando frequentava il gruppo di artisti di Guttuso, Franchina, Joppolo, Consagra e Accardi - al soggiorno Milanese col gruppo di "Corrente", dai paesaggi pieni di luce e colori al Realismo Lirico e Sociale, dall’Astrattismo materico alla passione amorosa delle opere dedicate agli Amanti, fino al canto di dolore causato dal drammatico terremoto che nel 1968 colpì la valle del Belìce. Per finire, i volti e gli sguardi fieri di terra e di mare, come i contadini del Ciclo del Pane o i pescatori della Mattanza sino al ritorno alla natura coi dipinti della sezione dedicata al Grande Paesaggio.

La realtà contadina

Le campagne si popolano sempre più di uomini, contadini rudi e semplici, fatti della stessa terra e della stessa roccia, simili tra loro e allo stesso pittore, curvi al lavoro o nella lunga marcia quotidiana sulla trazzera, coi muli e coi carri, tori e capre, donne col capo avvolto nello scialle nero (come la madre dell’artista prima che andasse a vivere tra mille siciliani in un quartiere di Brooklyn senza far più ritorno), braccianti alienati al mattino in attesa di lavoro, folle in piazza ad ascoltare il comizio o a commentare la morte del capo lega ucciso dalla mafia. Più tardi nella sua produzione comparirà più frequentemente il nudo femminile, mai accademico, ma con un rinnovato senso della forma, della bellezza, e nature morte rigogliose con frutta e dai colori splendidi.

Le committenze isolane, gli affreschi e il tema del paesaggio

Sino a metà anni ‘50, Gianbecchina lavorerà, su incarico di gallerie e soprintendenza, ad affreschi e opere di restauro in numerose chiese dell’isola danneggiate dagli eventi bellici: l’esperienza dell’artista sull’affresco confluirà anche nella sua pittura di cavalletto, dove userà stesure più larghe e sintetiche, impaginature calcolate, più colori. Dal ‘54, nel ritiro che si è costruito in gran parte con le proprie mani ad Adragna, altura su Sambuca sul Mediterraneo, il mare, il cielo e la terra lo ispirano e i paesaggi, perse le sue definizioni operate dall’uomo, si traducono in colore puro, materia fluida o resistente, cangiante nel tempo: la natura ritorna alle sue forme primordiali con rocce non più baciate dal sole, ma ardenti, argille resistenti al fuoco, alberi carbonizzati dalla sua fiamma che si stempera nei mari, cieli che abbracciano il cosmo.

Il periodo astratto, gli Amanti, il terremoto e la rinascita

Dal 1960 al ‘65 è il suo periodo astratto - mai geometrico, ma materico - in cui dipinge il tumulto della natura (una discesa nelle viscere della terra, tra forze compresse, un dilagare delle acque) che poi torna a placarsi. Le superfici si ricompongono, i paesini della grande distesa si concentrano come raccolti per proteggersi dal pericolo di burroni e i crepacci, profonde ferite della terra. Nel ‘67 in questo mondo trasformato appaiono nuovi personaggi: gli amanti, prima in seno a paesaggi astratti, poi in uno sfondo libero di scogli e di mare; antiche divinità in un amplesso drammatico, giovani coppie tra alberi, spighe, canneti; l’esaltazione della gioventù, l’amore come atto della natura nel suo germogliare e fiorire. Ad interrompere questo inno gioioso alla vita giunge il terremoto del ‘68: in decine di disegni e dipinti l’artista coglierà le strutture compatte che si sconvolgono, le superfici che si spaccano; esprimerà la desolazione e l’abbandono, alzando la sua protesta contro il mancato intervento a favore delle aree colpite, in preda alla speculazione e disgregazione morale e sociale. Nei suoi dipinti tornano, dunque, le figure dei contadini del Belìce, ancora tenacemente attaccati dalla terra, con la loro volontà di resistere: unica speranza di rinascita.

Il fascino della natura

Tre anni dopo il sisma, il pittore accorre allo spettacolo grandioso e terrificante del vulcano Etna in piena eruzione. Contempla l’avanzare del magma nella notte, le fiammate abbaglianti dei boschi, le case sommerse dalla lava e dipinge portando ai vertici il suo suggestivo colorismo e a sua dinamica realistica. Negli ultimi anni la sua pittura si fa più attenta alla complessa plastica della natura, alle rocce che si corrugano ai piedi delle acque, bruciate dal fuoco. I volti degli uomini appaiono induriti dalla fatica e dalle rughe: personaggi monumentali come rocce, vecchi di una generazione, nei villaggi e nelle campagne di una Sicilia lontana dalla civiltà delle macchine e da dove fuggono le nuove generazioni.

Gianbecchina: una vocazione da artista e i suoi esordi

La storia di Gianbecchina, così profondamente legata alla terra di Sicilia e alle vicende della sua gente, comincia con una migrazione: nel 1912 i genitori partono per l’America lasciando Sambuca, loro paese nativo, nella valle del Belìce. Il bambino, di soli tre anni, viene affidato a uno zio che curerà la sua prima istruzione e tenterà di avviarlo alla professione di perito agronomo, ma, conosciuta la prima tavolozza e i primi tubetti grazie a una pittrice dilettante della nobiltà locale, Vincenza Oddo, subirà inesorabilmente il fascino dell’arte. Gaetano Greppi, un decoratore parietale, lo assume come garzone: Giovanni impara da lui a mescolare i colori, ad eseguire gli ornati, a dipingere falsi stucchi e riquadri con fiori ed uccelli. Poi, lavorando in proprio, sperimenta l'affresco su pareti di case e chiese. Per inseguire il sogno della pittura, sull’esempio dei pittori Antonio Guarino e Alfonso Amorelli, suoi compaesani, parte coi suoi primi risparmi per Palermo; qui si iscriverà all’Accademia di Belle Arti, alla scuola libera del nudo, per apprendere la tecnica del disegno e della pittura e nel ‘33 conseguirà la maturità artistica.

Gli incontri professionali: da Pippo Rizzo a Guttuso

Con lo spirito d’avventura dei Siciliani più intraprendenti, a 20 anni, senza una lira, parte per Roma, dove frequenterà dal ‘34 al ‘35 l'Accademia di Belle Arti. Lì conosce Pippo Rizzo e prosegue gli studi grazie a una borsa di studio messa in palio dall’Accademia di Palermo. E’ l’epoca del sodalizio tra Guttuso, Barbera, Lea Pasqualino Noto e Nino Franchina: con Topazia Alliata e altri intellettuali, artisti, musicisti, giornalisti, Giovanni frequenta le riunioni di questo cenacolo anticonformista di artisti aperti al nuovo, nello studio di Corso Pisani e, poi, in casa dei Pasqualino. Con Guttuso, che vedeva spesso a Bagheria, condivideva le idee antifasciste e il bisogno di evasione verso orizzonti più larghi. Nel 1937, in una casetta di pescatori a Cefalù presa in affitto per sei mesi col giovane studioso d’arte Beppe Sala, dipinge all’aperto, tra mare e campagna, soprattutto acquerelli. A conservare il ricordo di quel soggiorno il libro di Sala, “Sodalizio a Cefalù”, illustrato da Gianbecchina. Riparte per Roma, quando Guttuso lascia definitivamente la Sicilia, e sarà suo ospite nello studio di piazza Melozzo a Forlì. A Milano divide un seminterrato in via Guercino con gli scultori Tarantino, Maggio e Pierluca e la modella pittrice Bettina: qui conosce Quasimodo, Migneco, De Grada, Birolli (l’ambiente che presto avrebbe dato vita a “Corrente”). Sono anni di privazioni e di fame con molti quadri dipinti e pochissimi venduti, qualche lavoro saltuario di illustrazione e d’affresco. Con l'incalzare degli eventi bellici il mercato artistico italiano perde quota: nel 1940 Gianbecchina è costretto a tornare in Sicilia.

Il ritorno in Sicilia

Nel ‘41 ottiene una cattedra al liceo artistico di Palermo, ma continua a dipingere le sue nature morte con una distensione, fluidità e libertà che esula dai canoni accademici e dal quattrocentismo di maniera allora raccomandato. Nei suoi paesaggi nessun riferimento a Sironi o Carrà, ma a Van Gogh e Cézanne, in chiave siciliana. Nel corso degli anni ‘40, lavorando in Sicilia, passa da acquerelli fluidi e paesaggi concepiti come distese, ai paesi autentici, spesso realtà aspra ed ingrata. Esprime l’antica cultura contadina da cui proviene in un’attenzione amorosa alla conformazione e sistemazione dei terreni, dove si stende il grano: verde tenero in primavera, giallo al raccolto, riarso nelle stoppie d’estate, tra dolci ondulazioni ricoperte di viti; dipinge il verde argento degli uliveti sulle colline e il verde cromo dei mandorli dove occhieggiano le case bianche; cave dorate di tufo e spaccature delle frane nella vallata del Belice; rocce cristalline azzurre nelle distanze, rosse al tramonto.

L’attività degli ultimi anni, il Ciclo del Pane e l’Istituzione Gianbecchina

Negli anni a seguire si susseguono numerose le mostre e le esposizioni in tutta Italia e anche all’estero. Accanto all’intensa attività pittorica si concentra su una produzione di grafica d’arte, incisioni, acqueforti, litografie, serigrafie, tra cui quelle dedicate al “Ciclo del pane”. Le sue opere sono presso varie gallerie e collezioni pubbliche e private. Nel 1997 viene fondata l’“Istituzione Gianbecchina” diretta dal figlio Alessandro. Muore il 14 luglio del 2001 all’età di 92 anni nella stessa città natale. Nel tempo l’Istituzione è divenuta volano di tante iniziative culturali della comunità sambucese. Essa rappresenta per Sambuca un laboratorio permanente in cui nascono e maturano progetti tra arte e cultura, tra valorizzazione delle potenzialità del territorio e promozione del turismo: indispensabile premessa per lo sviluppo economico.

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